Di Domenico Genovese, Digital & Innovation Manager PHD Italia
Se fate una rapida ricerca online sui principali portali di offerte di lavoro utilizzando la keyword “digital”, vi salterà subito all’occhio l’enorme quantità di posizioni aperte da aziende grandi e piccole che, spesso, hanno in comune una caratteristica: job title fantasiosi connessi a descrizioni della posizione stessa che incorporano le competenze più disparate.
Si tratta di un indicatore abbastanza affidabile della confusione che sta generando la trasformazione digitale in aziende strutturate e con processi ben definiti che cercano nel miglior (?) modo possibile di non farsi travolgere dal cambiamento. Le agenzie media e, in maniera più o meno omogenea, tutti gli operatori del mondo della comunicazione si trovano ad affrontare lo stesso problema ma dalla posizione leggermente privilegiata di chi ha assistito in prima persona e, in parte, ha contribuito a definire l’evoluzione di tutto ciò che passa sotto l’ala ampia del digitale.
La proliferazione dei touchpoint capaci di generare informazioni, infatti, ha trasformato sostanzialmente attività monodirezionali, in cui i brand lanciavano il proprio messaggio all’esterno della propria organizzazione valutandone l’efficacia con analisi per lo più qualitative, in canali bidirezionali in cui ogni utente/consumatore è una fonte di dati. Dati che, se correttamente organizzati e interpretati, possono guidare i brand non solo nella definizione ultima dei loro messaggi e dei canali attraverso cui diffonderli ma, soprattutto, risalendo i processi e gli organigrammi aziendali, nella visione strategica di medio e lungo termine. Passando per lo sviluppo dei propri prodotti e l’organizzazione delle risorse.
A supportare il cambiamento nell’assetto aziendale e, prima ancora, nell’approccio mentale necessario a fissare un percorso digitale quanto più chiaro possibile, c’è l’agenzia. Che deve anticipare il cambiamento e dotarsi di una struttura adeguata a far fronte alle necessità dei clienti che passerà anche per la creazione di nuove figure professionali.
Planner e Buyer, che oggi prendono importanti decisioni ed effettuano continui controlli per assicurare una corretta ed efficiente budget allocation, avranno una mole di lavoro via via ridotta dall’affermazione degli algoritmi di smart bidding – realtà già ampiamente adottate sul mercato odierno – prima e di piattaforme di pianificazione cross-channel, capaci di adattare in real-time la comunicazione in base ai KPI definiti, in seguito. Queste figure evolveranno in quella del Marketing Technologist, concentrato non sull’aspetto decisionale della pianificazione ma su quello strutturale dell’architettura tecnologica da utilizzare. Affiancato dai Data Analyst che saranno il fulcro di ogni attività con l’obiettivo di ordinare e dare un senso ai dati generati.
Fin qui niente di sconvolgente. Ma facendo un ulteriore passo avanti, in un mercato in cui le ricerche vocali sorpasseranno quelle “scritte”, rendendo i VPA (Virtual Personal Assistant) il principale punto di accesso a prodotti e servizi online, il mercato bramerà professionalità capaci, ad esempio, di costruire conversazioni tra il brand e l’utente. Voice UX Designer, potrei definirli. E, allargando il campo visivo, avremo figure come quella dell’Experience Manager, responsabile di tutta l’esperienza dell’utente in relazione al brand.
È una visione in cui il ruolo dell’uomo è ancora centrale anche in un mondo dove molte decisioni saranno automatizzate. Soprattutto in tutto ciò che riguarda l’aspetto creativo del nostro lavoro. Copywriter e creativi evolveranno e dovranno confrontarsi con Mixed Reality ed esplosione dell’Internet Of Things, fenomeni che amplieranno le possibilità di contatto con l’utente fornendo canali inesplorati che i brand dovranno sfruttare per creare esperienze uniche e immersive.
L’accuratezza delle previsioni tecnologiche è sempre inversamente proporzionale all’orizzonte temporale che ci poniamo. E, così come avviene oggi ed è già avvenuto in passato, le competenze dell’agenzia del futuro saranno legate all’evoluzione digitale e alla diffusione su larga scala di tecnologie oggi emergenti. Qualcuno potrebbe chiedersi se abbia senso investire oggi nell’acquisizione di esperti in campi che stanno muovendo solo i loro primi passi. Non esiste una risposta corretta. È un rischio. Di sicuro ha senso investire nella formazione del personale attuale per riuscire ad anticipare ogni cambiamento.